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le sedicenni sono streghe. noi no
Mi incuriosisce l’indignato stupore con il quale vedo accolta la notizia che sei ragazzine liceali hanno aggredito a Roma una coetanea perché – viene detto in alcuni virgolettati che né il Corriere né Repubblica attribuiscono a nessuno – la ragazzina era «molto carina» e quindi «probabilmente oggetto delle gelosie nascoste» delle sue rivali.
Prima domanda: ma se le gelosie erano «nascoste», che ca*** ne sanno quelli che ne parlano ai giornalisti?
Seconda (plurima) domanda: ma perché facciamo quelli che si stupiscono dell’esistenza dell’invidia? Perché ci piace dire a noi stessi «toh, guarda: a sedici anni queste ragazzine lasciano agire l’invidia»? Perché ci sembra strano o singolare? Non fa forse parte dell’esperienza comune la consapevolezza del grande dolore che l’invidia altrui può suscitare in ciascuno di noi, a causa della cattiveria che l’invidia sa muovere?
Il fatto è che se si invidiano tra sedicenni (femmine, peraltro, e il particolare non mi pare secondario) noi ci consentiamo il lusso di spiegare immediatamente i fatti, senza sapere niente di più, con il movente di un sentimento che, quando si tratta di noi, non riusciamo nemmeno a nominare.
Provate a dire a qualcuno questa frase: «La tale persona ce l’ha con me perché sono più intelligente (o più bello, o più brillante: basta scegliere) di lei».
La reazione immediata dell’ascoltatore sarà senza dubbio una forma di scetticismo – spesso dissimulato – che certamente contiene una nota di compassione. Come se stesse pensando «sì, come no, figuriamoci».
E provate a dirlo al diretto interessato: «Ehi, tu: la smetti di rompermi l’anima? Non ci puoi fare niente se io sono più intelligente (più bello/più brillante) di te, devi solo accettare il fatto».
A voi dirà che avete completamente equivocato.
Agli altri, si precipiterà a raccontare che siete pazzi ed egocentrici.
E allora, perché quando si tratta di ragazzine noi facciamo così in fretta a dire «certo, è ovvio: l’hanno picchiata perché è più bella!»? Facile, vero?, perpetuare il luogo comune della crudeltà e della perfidia femminili…
Perché quando invece si tratta di adulti ci vergogniamo di chiamare i sentimenti con il loro nome? Vero, sì, che tra adulti tendiamo a non picchiarci, e questo da una parte facilita le cose (almeno al nostro corpo) e dall’altra le complica (alla nostra mente).
Ma perché l’elementarità delle cose ci fa così paura, quando in ballo ci siamo noi?
p.s. Sto ascoltando «Reavy’s» suonato da Kevin O’Connor (dall’album «From the Chest»). Lo consiglio. Per un assaggio, cliccare qui. Per sapere chi è lui, cliccare qui.
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