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il verbo al futuro? vittima e strumento della propaganda
Dice Gramellini nel suo Buongiorno sulla Stampa di oggi che «uno degli eventi più strabilianti della nostra epoca è la scomparsa dei verbi al futuro», che «gli unici che ancora osano coniugare i verbi al futuro sono gli innamorati», e che «il futuro è il verbo di chi emana energia».
Penso che Gramellini abbia centrato il punto rispetto alla questione «ideologica» per la quale nessuno più si pone altro problema se non quello di gestire l’esistente, ma si sia perso un po’ del mood dei titoli dei giornali locali.
Quelli in cui «il parco da trilioni di ettari nascerà nel 2015» (naturalmente sarà il «polmone verde della città»), o «il nuovo centro grandi ustionati sarà operativo fra sei anni» (ovviamente si tratterà del centro più stra-spaziale che l’uomo abbia conosciuto nella sua storia millenaria), o «i lavori cominceranno non appena la Regione avrà dato parere favorevole all’ingrandimento delle strutture» (che – va da sé – saranno un esempio per tutta l’Italia). A me i titoli dei giornali locali sembrano tutto un «sarà», «vedrà», «farà», «decideremo», «provvederemo», «stabiliranno». E non utilizzati a modo di chi «emana energia».
Nel mio minuscolo («nel mio piccolo» mi sembra troppo grande) dissento da Gramellini sulla base dell’argomento che il futuro è anche il tempo verbale della propaganda, di chi – quando ne ha un’utilità – cerca di dirci che tutto va bene madama la marchesa.
Il futuro è il tempo verbale di coloro ai quali basta una promessa.
eh, non c’è più il futuro di una volta…