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il lavoro, i morti, l’invidia e il mio cuore
Questo è un altro giorno in cui sono grata alla mia professione, perché un giornalista ha messo in pagina un commento di Gad Lerner – che dio lo benedica – che leggere è quasi obbligatorio.
Comincia così: «Quando gli operai muoiono in troppi alla volta come ieri a Mineo, fulminati o asfissiati letteralmente nella melma, resi massa irriconoscibile dal colore del fango, allora l’Italia è costretta a ricordare».
«L’umiliazione del lavoro manuale», scrive, «la retrocessione della vita operaia a destino sfortunato, spesso vengono giustificate in nome di una virtuosa concordia interclassista, perché il conflitto fra legittimi interessi altro non sarebbe che “invidia sociale“».
Quante volte l’abbiamo sentita, questa storia dell’«invidia sociale»?
Che «i comunisti sono tristi», e «noi, invece, siamo allegri, ci sappiamo divertire, perché noi non siamo il partito dell’odio ma il partito dell’amore»; come se l’«amore» (su cui già è così difficile intendersi quando lo si vive in due; figuriamoci cosa può essere quando si pretenda di farlo diventare grandezza collettiva) fosse qualcosa su cui si può costruire un tipo di condivisione che abbia anche lontanamente a che fare con la politica.
Come se volere qualcosa per sé – benessere, tranquillità economica – fosse la stessa cosa (l’invidia, no?) che volerlo togliere agli altri, e non semplicemente volerlo anche per sé, e magari proprio perché qualcuno ci può aver aiutato a credere che la nostra vita senza le cose degli spot è una vita di mer**.
Ma la questione centrale – ancora una volta ha ragione Lerner – è il ruolo del lavoro. E corrispettivamente quello dell’imprenditoria. Lerner non si sofferma sulla frase di Sacconi che mi ha così impressionato da volerla riportare qui per la terza volta («sanzioni sproporzionate distolgono l’attenzione delle imprese dallo sforzo di aumentare la sicurezza, spingendole ad adempiere a comportamenti formalistici per evitare le sanzioni»), ma parla dello stesso concetto – e guarda un po’: il ministro del Lavoro dice le stesse cose che dicono gli imprenditori… – espresso a Santa Margherita dai giovani della Confindustria: «Rendere ancora più complesse e difficili le norme che presidiano la sicurezza sul lavoro impone costi crescenti agli imprenditori che già seguono il dettato della legge mentre non sfiora neppure chi dell’illegalità fa una prassi».
Qui Lerner si incazza un pochino: «Costi crescenti?», dice. «Metteteli a bilancio per tempo, invece di stanziare oltre dieci milioni di euro per l’indennizzo delle vittime della ThissenKrupp, oltretutto ponendo la condizione vessatoria che rinuncino a costituirsi parte civile nel processo».
E poi: «il pericolo che l’ideologia della deregulation, simboleggiata dalla provocazione dei “contratti individuali”, apra nuove voragini di incuria nella tutela dei lavoratori, non può essere ignorato».
È veramente incredibile quanto forte io senta il bisogno di trovare da qualche parte, in mezzo alla irritante vacuità delle parole d’ordine ideologiche, all’arrogante brutalità di chi sa solo ripeterti che ha vinto e adesso tocca a lui e che se tu sarai mai un giorno capace di vincere, allora vedremo cosa sei capace di fare tu; di fronte alla volgare incapacità di analisi spacciata per abilità decisionistica o per chiarezza esplicativa, beh, è incredibile quanto forte io senta il bisogno di leggere – con l’auctoritas della parola scritta – frasi che «sento» dentro, che riesco a condividere.
Non so se scrivere, e leggere, sia un modo per creare «comunità», e a pensarci adesso – in retrospettiva – credo di avere sempre creduto che questo fosse possibile, che fosse il senso del mio lavoro, e addirittura corrispondesse a un mio dovere professionale…
Nella deriva nichilista in cui però, ora, mi dibatto a disagio, penso che non servano; perlomeno, che non servano in termini politici. Ma anche se non creano comunità, leggere e scrivere fanno veramente bene al cuore. E adesso mi devo accontentare di questo.
Per Lerner, «il lutto degli operai siciliani, piemontesi, veneti, liguri, pugliesi – il susseguirsi delle stragi al ritmo insopportabile di dieci morti in un solo giorno – rivela il tragitto di un Paese nel quale i lavoratori tornano a essere plebe. Come tale indotta magari a ricercare protezioni clientelari, occasionali padrini politici».
Queste morti – dice Lerner – «promettono rabbia e violenza, altro che “clima nuovo”».
Che enorme tristezza.
p.s. Leggo in velocità – devo andare a calare la pasta – un titolo nella homepage del Corriere.it: «Sacconi: “Ora un piano straordinario”». Ma sì, certo. Qualunque cosa pur di farci credere che sta accadendo un’emergenza, che questa non è la normalità, che le imprese non devono strutturalmente fare niente, basta che riescano a scollinare quest’emergenza e poi tutto torna a posto.
Cos’avevo detto?
Che enorme tristezza?
Beh. C’è anche un’enorme dolore.
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