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economist e spinelli (b.) contro la mestizia veltroniana
Dice il divo dalla mascella volitiva che l’intervista di Parisi – quella in cui, deliziosamente, l’ex ministro della Difesa lo paragona a Totò nella gag in cui prende pugni da un tale che lo chiama Pasquale, e ride perché, spiega alla fine, lui mica è Pasquale – se l’aspettava e comunque non intende replicare.
Posso capire l’imbarazzo di reagire a un attacco dall’interno mosso dalle pagine di un giornale; non riesco a immaginare niente di più pubblico, d’altra parte.
Ma è con autentico stupore che registro l’incredibile dato di fatto che nemmeno in questa occasione Veltroni riesce a dire una sola parola che abbia a che vedere con un fot**** straccio di contenuto qualunque.
Tipo, non so: Parisi ha torto, perché la mia linea pagherà; oppure: mi sono rotto di continuare a giustificare all’esterno la mia linea, adesso facciamo questo e questo (ah, se lo dicesse!), e fra tre mesi quello e quell’altro, e poi mi direte chi aveva torto e chi ragione.
Ma non devo essere l’unica a trovare inaccettabile questa sconcertante mestizia veltroniana, questa totale assenza di tono muscolare.
Sulla Stampa di ieri, anche Barbara Spinelli c’ha speso – comodo – quel centinaio di righe.
Sull’anomalia di Berlusconi, dice, siamo tutti d’accordo. Ma «molto meno si è scritto invece sull’anomalia dell’opposizione: anomalia che crea ripetuto sgomento, in chi ci osserva con quel terzo occhio», quello che guarda dall’esterno. «Un’opposizione così impaurita di sé, così ansiosa d’apparire dialogante e conciliante, si vede di rado nelle democrazie. L’articolo dell’Economist del 12 giugno è rivelatore», per la Spinelli. «Anche se il leader dell’opposizione ha scelto uno stile Westminster (governo ombra, fair play formale) “non c’è assolutamente nulla di britannico” nella sostanza del suo agire. Un’opposizione all’inglese, scrive l’Economist, non avrebbe esitato a indagare su Schifani – dopo le rivelazioni di Abbate e Travaglio – scoraggiando la sua nomina a presidente del Senato. Non avrebbe esitato a denunciare le bugie sulla cordata italiana pronta a comprare Alitalia in condizioni migliori di Air France. Avrebbe alzato una barriera contro il reato d’immigrazione clandestina, il divieto d’intercettazione per crimini tutt’altro che minori, le leggi che sospendono un enorme numero di processi (compresi i processi a Berlusconi; il processo per le violenze contro i manifestanti al vertice G8 del 2001; il processo sulle morti causate dall’amianto)».
Veltroni no. Lui è ancora conficcato nel territorio doloroso della penitenza. Cerca ancora di farsi legittimare dall’avversario. Non gli importa un accidenti se quell’avversario sia stimabile oppure no; se sia il contrario di tutto quello in cui un sincero democratico (!) crede e spera. A lui interessa solo che quel tipo bassino, finto, tirato, rialzato e plastificato gli metta la mano sulla testa in atto benedicente alzandosi sulle punte dei piedi.
Non è – come dire? – l’adolescente che cerca di individuare se stesso differenziandosi attraverso la battaglia con il padre; è il bambino delle elementari che chiede al babbo l’approvazione purchessia, anche se quel babbo ha appena finito di dargli un carico di mazzate.
Per la Spinelli, «questa fatica-riluttanza a opporsi non solo è poco britannica. È poco francese, tedesca, americana. Perché nessuno, in questi Paesi, teme di apparire quel che è: inequivocabilmente oppositore, portato a dire no e a mostrare sempre quella che potrebbe essere l’alternativa al governo presente». Per esempio, «nessuno si sognerebbe di accusare i democratici Usa di antibushismo, o la sinistra francese di antisarkozismo», ma qui l’opposizione ha sempre paura che le dicano «ehi, sei antiberlusconiana», come se questo fosse una colpa; anzi: forse «la» colpa.
Io non so come sia il clima negli altri Paesi. So, però, com’è qui.
È un clima nel quale qualunque cosa possa anche solo lontanamente somigliare a un conflitto – una di quelle cose che in tempi normali giudicheremmo creative, vivificanti, via maestra all’affermazione di sé attraverso la dinamica con l’altro da sé – è inspiegabilmente assimilato alla violenza, all’incapacità di capire. Cioè: se tu che stai facendo polemica (questo è il massimo che si arriva a percepire: l’idea che chi è contro voglia far «polemica») mi ascoltassi, capiresti che ho ragione io e la smetteresti di agitarti.
È un’aria da manicomio, in cui lo psichiatra ha sempre ragione, e se tu protesti dai a tutti la prova che sei pazzo.
Solo che quel che Veltroni sembra non voler capire è che in un manicomio ti trattano da pazzo anche se taci e dici che lo psichiatra ha sempre ragione. Anzi: se tu dai ragione allo psichiatra, questa è la prova del fatto che sei pazzo; d’altra parte, della tua pazzia mostri di renderti conto tu per primo, no? Altrimenti, se pensassi di non esserlo, protesteresti… E il cerchio riparte. Il problema, in effetti, è liberarsi della diagnosi dello psichiatra. Ma il divo non ci riesce, non vuole, non ci arriva.
E il bello è che in questo cul de sac ci si è infilato da solo. Ascolta Barbara Spinelli, Walter: «I massimi dirigenti del Pd», ti manda a dire, «hanno grandi tremori, e forse non sarebbe male che cominciassero a parlarne. Altrimenti chi guarda da fuori continuerà a sbigottirsi: più sorpreso da questi tremori, in fondo, che da Berlusconi».
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