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il prezzo delle strisce blu e delle case maritali
Dunque, il Tar ha detto che le strisce blu degli stalli di sosta romani sono illegittime.
Le argomentazioni – sembra di capire leggendo qui, sono – com’è d’altra parte ovvio – di carattere sostanzialmente tecnico: non era stata rispettata la percentuale di stalli gratuiti di sosta, e in molti casi s’era pure violato il codice della strada.
Però, tanto a proposito delle strisce blu per la sosta a pagamento quanto, per esempio, per l’ingresso a pagamento nei centri storici delle città, io mi son sempre domandata una cosa: se non si tratti della privatizzazione di uno spazio pubblico.
A me sembra inaccettabile la logica con la quale si chiede a un cittadino di pagare per occupare o anche solo per attraversare una porzione di suolo che è anche sua.
La considerazione vale, mi sembra, anche nel caso di provvedimenti che, per motivi riferibili all’inquinamento subordinano al pagamento di una somma l’accesso dei veicoli ad alcune aree, apparentemente rifacendosi al principio – in effetti già applicato, per esempio, nella carbon tax o nelle sovrattasse per le auto considerate più inquinanti – che per poter inquinare bisogna pagare.
Se si ritiene che l’inquinamento sia intollerabile, allora nemmeno miliardi di euro saranno sufficienti a garantirsi il diritto di diffondere nell’aria urbana gas di scarico e polveri sottili.
Diversamente, se l’inquinamento pare negoziabile (se non acquistabile), in questo caso – come d’altro canto in quello degli stalli blu – l’unica vera verità è che i Comuni vogliono fare cassa.
Che facciano, per carità: ma non introducendo forme di imposizione regressiva (chi ha più soldi paga, in percentuale, meno di chi ne ha di meno, nel senso che un riccone può ben permettersi di pagare più ticket degli altri), né, per favore, facendo passare il principio che il suolo pubblico non è mio.
Segnalo peraltro – ma non c’entra assolutamente niente, se non per il fatto che l’occupazione del luogo, anche qui, ha determinato un costo – che la moglie che tradisce il marito facendo sesso con un amante nella casa coniugale si rende, per la Cassazione, colpevole di «ingiuria grave» nei confronti del marito (il quale può riavere indietro tutti i doni che le aveva fatto).
L’ingiuria, spiegano i giudici, si concretizza non tanto nell’«infedeltà coniugale», come riferisce il Corriere, «quanto nell’atteggiamento complessivamente adottato, menzognero e irriguardoso verso il marito».
Così. Per opportuna informazione.
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