non lo fo per piacer mio

Quando le loro scelte escludono, a nascondersi dietro il paravento delle motivazioni «tecniche» non sono soltanto i pubblici amministratori.

Repubblica.it racconta di quel parroco che, a Castelnuovo del Friuli, ha opposto il suo risoluto diniego a che per il funerale di un ottantenne ex resistente la banda suonasse sul sagrato le canzoni partigiane, così come il morto aveva invece da tempo insistentemente chiesto ai familiari.

«Mi sono limitato ad applicare le direttive che regolano l’uso della musica e degli strumenti all’interno dei luoghi di culto», dice il parroco, «senza dare alcuna interpretazione ai canti che si sarebbero dovuti eseguire».

Lui si è «limitato» ad «applicare» e non ha dato «alcuna interpretazione».
Che è come dire che non è colpa sua, che lui non c’entra, che tutto ciò che ha fatto è stato dare adempimento a una «regola» (cioè, tra l’altro, una di quelle cose che, nel caso in cui non piacessero, potrebbero sempre venire teoricamente ignorate con l’argomento religioso dell’obiezione di coscienza, che per definizione non ammette replica).

Il vezzo si diffonde, e dà la dimensione della pacificata facilità con la quale è socialmente accettata la dimensione esistenziale, ma anche politica e comunitaria, dell’irresponsabilità: no, non è che ti proibisco una cosa perché io voglio proibirtela; la colpa non è mia: ho solo seguìto le regole di cui non sono responsabile.

Il che rappresenta la variante «civile» del ritornello militare e sinistro «ho soltanto eseguito gli ordini». L’argomento è tanto più irricevibile quando – cioè dannatamente spesso, nei contesti più vari – viene avanzato da chi si trova in una posizione di responsabilità.

E non può che portare, tra l’altro, a conseguenze di difficilissima digeribilità: se una scelta si pretende priva di contenuto ma solo rispettosa di una forma, non si dà alcuna possibilità – per mancanza di competitori – alla formazione di un’opinione alternativa nei contenuti, e l’unico territorio che si lascia alla libera disponibilità di chi non sia d’accordo è quello della contestazione nel metodo.

D’altra parte, se manca un’arena pubblica, dove si formano i contenuti civili?
Se si può contestare solo il metodo, le manifestazioni di protesta diventano solo una questione di buona educazione formale. Sicché se in un corteo si strilla un po’ troppo, chi può biasimare la polizia che manganella i manifestanti?