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elvira, non farmi la morale
L’onorevole Elvira Savino ci insegna che alle istituzioni si deve rispetto, poffarre, e che per questo – essendo ella trentenne (splendida affezione sfortunatamente passeggera), laureata in economia, «masterizzata», esperta (cinque anni nell’ufficio stampa dell’Udc e un certo tempo nella redazione di un mensile), edotta delle «regole di Dagospia e del sistema mediatico» (complimenti) – vorrebbe che la si smettesse di turbarla (la scelta del verbo è sua) con articoli «che tendono a dipingere la presenza parlamentare femminile (soprattutto quella del Pdl) come “leggera”, ed uso», dice, «un eufemismo».
Non è che voglia difendere il Pd – davvero: è una fase della mia vita in cui non ci riuscirei neanche se lo volessi molto intensamente – però potrebbe per favore Elvira farmi la personale cortesia di evitare i fervorini?
Se serve, io le giuro che chiunque metta i tacchi dodici centimetri e si fasci in un jeansetto tattico a vita bassa ha tutta la mia stima. Veramente. Di cuore.
Ma davvero le ragazze, quelle giovani e quelle meno giovani, entrate a Montecitorio ope legis (con le liste bloccate, l’ingresso in Parlamento è più una cooptazione che un’elezione; ma sono sicura che sarebbero state elette anche se i cittadini avessero potuto esprimere la preferenza) riescono a credere di essere entrate in Parlamento per merito politico, e non per motivazioni variabili fra la gradevolezza mediatica, la disponibilità a trasformarsi in personaggio, l’avvenenza, la capacità di «bucare il video», l’attitudine a indurre pensieri del tipo «beh, è una che parla bene anche se è una bella ragazza»?
Questo, ovviamente, vale anche per i ragazzi cravatto-dotati che siedono vicino a sei o sette telefonini sugli scranni di Montecitorio; non solo per le miss che adesso ci vengono a chiedere rispetto per il loro ruolo istituzionale dopo che la loro parte politica – ma anche quell’altra, per carità – ha speso così tante energie allo scopo precipuo di farci dimenticare il rispetto che si deve al Parlamento e alle istituzioni rappresentative.
Non sono stata io, e neppure Dagospia, a portare in Parlamento ex divette di film licenziosi, ex presentatrici di programmi di cucina e presentatori di quiz, ex cantanti irrobustite dall’età, ex calendariette statuarie, o ex inviate apparentemente goderecce di programmi simil-trash.
E che adesso una (bravissima, non discuto; eccelsa, non discuto) gnoccolona trentenne la cui competenza politica sembrerebbe essersi esaurita in cinque anni nell’ufficio stampa di un partito – così sembrerebbe di poter credere leggendo il suo cv (pronùncisi all’inglese «si-vii», grazie) suppongo autoprodotto – mi spieghi che io, esattamente io e quelli che come me soffrono come cani per l’assenza di «rappresentanza» di questa politica, devo tributare alle istituzioni quel rispetto che la sua parte politica ha preso a martellate… beh, mi pare un po’ troppo anche per uno stomaco forte e allenato come il mio.
È lei, la signorina Elvira, che ha scelto di stare dalla parte di chi ha utilizzato la «vendibilità» dei corpi femminili come grandezza politica.
Non sono stata io. Signorina Elvira.
Può per favore cercare di tenerlo a mente, gentile signorina Elvira?
p.s. Tra l’altro, siamo alle solite: chiunque pretende di insegnare ai giornalisti come si fa il lavoro del giornalista.
Dopo che perfino l’esame di maturità dà ai diciottenni la possibilità di scegliere fra le prove quella di un «articolo di giornale» (tanto si sa, no? Non ci vuole nessuna capacità specifica per fare un articolo di giornale! Li fanno cani porci e cristiani: vuoi che non ci riescano dei ragazzi che non hanno mai nemmeno letto un giornale?), ora ecco che arriva Elvira.
Elvira, con l’autorevolezza del ruolo e la freschezza del suo logo «energie nuove per l’Italia», ci dice che «mettere un limite a questa perversione» (di insistere sull’avvenenza, ndr) «non toglierà nulla all’appeal di Dagospia e dei giornali (quotidiani come rotocalchi)».
Grazie, cara. Grazie. Non ci avevo pensato.
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