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mi faccio i fatti miei, ai violenti non dò importanza
I più, scritta così come ora la riporto, la attribuiscono a Bertolt Brecht.
Il professor Harold Marcuse dell’università californiana di Santa Barbara, invece, l’attribuisce al pastore Martin Niemoeller, e ne riconosce varie formulazioni, tutte a modo loro autentiche.
Che sia dell’uno o dell’altro, in ogni caso mi impressiona molto, e la copio nella versione in cui più frequentemente gira:
«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento perchè rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali
e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti
ed io non dissi niente perchè non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me
e non c’era rimasto nessuno a protestare».
C’è molta gente (soprattutto fra coloro che si ritengono – come dire? – beneducati e cinicamente ben addestrati alla vita sociale) che spesso, di fronte a gesti di violenza o di brutalità che non vuole riconoscere come gesti di valore politico, commenta con la sufficienza dei giusti cose come «ma parlandone, noi diamo troppa importanza a questi imbecilli».
Ce ne sono anche all’interno della mia professione; sono colleghi che pensano che la realtà non abbia un’esistenza propria – eventualmente da registrare, in qualità di cronisti – ma diventi vera solo perché qualcuno decide di crearla, di dirla. Non so se è una specie di delirio di onnipotenza o, al contrario, l’ammissione della più desolante impotenza di fronte alle gerarchie che fra le cose istituisce il potere al quale credono di dover rispondere.
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