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i vantaggi della democrazia imperiale
Su un quotidiano ho letto un commentino di un tale sul decreto per la sicurezza sul lavoro (che è arrivato giusto dopo i morti della Thyssen e i morti di Molfetta).
Diceva questo tale – immagino ritenendosi per questo splendidamente bipartisan (gesù, l’ho scritto) e al passo con i tempi – che ha ragione il governo a voler accelerare, ma non hanno torto nemmeno gli industriali a ritenere che solo inasprendo le sanzioni non si salva la vita di nessuno.
Prendo fiato e mi dico «okay, Fede: tutto a posto».
Poi il tipo dice che adesso quel decreto dovrà passare all’esame delle commissioni parlamentari e anche della Conferenza Stato-Regioni; definiti questi passaggi come “lungaggini”, il tipo argomenta poi che – insomma, ragazzi, diciamocela tutta – in un Paese civile ed efficiente un provvedimento di questo genere si sarebbe dovuto assumere in poche ore – altro che commissioni e conferenze! – e all’unanimità.
Ovvio che non sto mica dicendo che le leggi lente mi piacciono un casino, che adoro le procedure farraginose, i dibattiti, i «forse che sì ma forse anche un po’ no». O che è giusto che i lavoratori muoiano tra le fiamme o nelle cisterne.
Solo che qualche volta mi piacerebbe se invece di far finta che sul metodo si possa (e si debba!) sempre essere tutti d’accordo e del contenuto chi se ne frega perché i contenuti li abbiamo buttati nel cesso insieme alle ideologie, qualcuno si prendesse l’incomodo di discutere – appunto – di contenuti, qualcuno si rassegnasse ad accettare il grigio, le sfumature, le complessità. Mi piacerebbe che l’Italia non fosse sempre così impegnata a tagliare la testa al toro (Che poi, pulire il pavimento dal sangue del toro, tra parentesi, son sempre fatti miei, tipo…).
Per dire: la mia scelleratezza mi spinge a immaginare che perfino su un decreto come questo ci possano legittimamente essere opinioni diverse. Dire «bene, gente: se siamo tutti d’accordo che nessuno deve più morire sul lavoro, allora mettiamo giù due righe così anche questa è fatta», a me sembra una stronzata colossale.
Si potrà ben discutere? O per essere una democrazia efficiente bisogna smettere di essere una democrazia?
Domanda: ma le persone che la pensano così – quelli di «ma su, forza, tiriamoci su le maniche e facciamo presto a decidere!» – non farebbero prima a diventare monarchiche, a proporre – non so – l’istituzione di un impero ereditario a base censitaria, tipo?
Ma sì! Un bel re ricco di suo (che così non ha neanche bisogno di «mettere le mani nelle tasche» dei sudditi, come con infelice espressione sento dire da un po’), un uomo solo al comando, al massimo quel migliaio di dignitari e gentiluomini di corte, e al limite anche un paio di proconsoli e qualche satrapetto da destinare all’amministrazione dei possedimenti più periferici, e passa tutto, no? Lungaggini, Parlamenti corrotti, dibattiti, pigrizia, indolenza terronica…
Non lo sappiamo forse tutti che per governare un Paese bastano, nell’ordine, uomini del nord (sì, dai, quelli là: gli «uomini del fare»), capacità manageriali, e un po’ di buon senso?
Non lo sappiamo forse tutti che le ideologie sono morte, che sinistra e destra non ci sono più, che i conti devono tornare (e non importa se gli unici che son tornati sono i discendenti dei re), che imprese e lavoratori sono dalla stessa parte, che se l’imprenditore guadagna allora guadagna anche il lavoratore?
Oh yes. Sorry. Lo sappiamo tutti. Di questi tempi, poi! Scusate. Mi ero solo un po’ distratta.
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