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01.a – com’è stato che ho pubblicato
Tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006, il mio manoscritto l’avevo spedito a nove editori. A gruppi di tre al mese, però: per evitare di dover sopportare emotivamente nove no verosimilmente tutti insieme.
C’è stato anche chi ha risposto «no, grazie, la storia è meravigliosamente spaziale ma non è confacente alla nostra linea editoriale» sette giorni sette dopo che avevo inviato il manoscritto… Una velocità che mi è sembrata più sospetta che meritoria.
Comunque. È andata così.
Ho un amico, di quelli cari e di poche parole, che si chiama Carlo e ha appena avuto un figlio, il suo terzo, che si chiama Lorenzo. Parecchio tempo fa gli avevo fatto leggere il manoscritto, che gli piacque a tal punto da invitarmi a casa sua a pranzo, per mangiare un piatto di pasta del quale mi sembra, a memoria, di non poter dire questo gran bene.
Un giorno, mi manda un sms: «Spedisci la tua storia», c’è scritto, «a Giulio Mozzi, Sironi editore, via Mercalli 14, Milano». «Ma questo Mozzi tu lo conosci?», gli domando. «No», mi risponde. «Digli che il nome te l’ha dato Monica».
Carlo è uno di cui mi fido, e dunque eseguii senza chiedere altro, spedendo al decimo editore nella persona di Giulio Mozzi. Era un giorno di marzo del 2006.
Il 9 novembre 2006, di ritorno da un’assemblea di redazione, stavo mettendo le forchette a tavola per il pranzo quando suonò il telefono di casa. Era il Mozzi. Che mi diceva di essersi divertito moltissimo a leggere il manoscritto; che i personaggi erano perfidi; che la storia gli era piaciuta. Io pensavo che fosse un mio amico che mi stava prendendo in giro, ma invece no.
Appena messa giù la cornetta – no: appena dato un urlo di gioia – ho mandato a Carlo un sms per chiedergli – io non me lo ricordavo più: erano passati otto mesi! – se era Mozzi la persona di cui mi aveva detto lui. Sì, era lui. E la cosa era nata così. Una mattina, Carlo ascoltava alla radio Fahrenheit. Una ragazza chiedeva se qualche ascoltatore aveva un libro di Simone Weil che lei aveva prestato senza mai riaverlo, e ora non veniva più ristampato.
Carlo l’aveva, e telefonò. Sentito che questa ragazza – Monica – lavorava in una casa editrice, Carlo si ricordò della storia che gli avevo fatto leggere, e le chiese se poteva dargli il nome di una persona a cui io potessi indirizzare il manoscritto. Lei fece il nome di Mozzi.
Ecco tutto.
Al di là di come andrà il libro – e io spero che andrà bene, com’è ovvio – sono la testimonianza vivente del fatto che non pubblicano solo i raccomandati.
E prima che qualcuno storca il naso: Carlo lavora nelle Fs.
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