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lo show divora tutto
Va bene che la serata era stata organizzata da Santoro.
Ma era stata organizzata da Santoro per celebrare i cent’anni della Fiom.
I titoli di Corriere e Repubblica contengono in home page, belle grandi, le parole «Santoro», «Benigni» e «serata» o «festa».
La parola Fiom è, minuscola, nei sommarietti.
È diventato un evento televisivo, che rileva in quanto tale, e in quanto capace di fornire identità a coloro che si sono seduti davanti alla tv a guardarlo.
Di quante altre prove abbiamo bisogno per capire che al di là dello show in questo modo di «governare» le appartenenze non c’è nient’altro?
Quando capiremo che quel che sta succedendo è che da cittadini siamo diventati audience consenziente, che nell’atto di guardare consuma ed esaurisce ogni possibile forza propulsiva (ammesso che ce ne sia, e ammesso che questi «eventi» siano espressione di una forza propulsiva)?
È così deprimente vedere ogni giorno l’esaltazione di chi pensa che con una trasmissione, con una petizione, con la creazione di un gruppo Facebook, stiamo «ribellandoci» e creando un «nuovo Paese».
Nell’intervista di Repubblica tv, l’altro giorno, a Saviano, l’intervistatrice arrivava perfino a dire che essere andati a votare ai referendum è stato un atto di «disobbedienza civile».
Come se i referendum non fossero stati organizzati dallo Stato.
Come se votare fosse un atto di disobbedienza, istituzionalmente parlando.
Non se ne esce.
Dobbiamo rassegnarci a perdere, e perdere, e perdere ancora; e perderemo anche se avremo vinto, perché c’è tutto da ricostruire. Tutto. L’abc.
Ci vorrà tempo.
Io non lo vedrò, ma forse mio figlio.
Forse, chissà, mio figlio potrà tornare a parlare di diritti e non di «libertà di scelta».
Perché se devo scegliere due espressioni simboliche della differenza abissale – anzi: della contraddizione – che esiste fra la politica e queste forme di «para-democrazia diretta spettacolare», io scelgo quelle due.
I diritti dei cittadini e la libertà di scelta.
Che sono l’istantanea miniaturizzata della sinistra e della (migliore?) destra.
Non so, ma certe riunioni di partito lo sono molto meno…
mentre cercavo disperatamente nuovi modi per infastidire Federica S., tramutata già la scorsa settimana nella professoressa A.S. del liceo psicopedagogico Morselli, stanotte ho avuto la stessa parola nella mente, diritti, mentre pensavo a cosa poter dire ad un’assemblea di legacoopsociali. E mi sono detto, nel silenzio di una notte, che il mio lavoro di operatore sociale è rendere reali, corporei, immersi nel tempo di vita, i diritti, che in tante occasioni vengono invece proclamati, rivendicati, rappresentati. Che va bene. Ma senza un lavoro di negoziato con i vincoli, con le strettezze, con le teste piccole, con le maggioranze zitte e cellulanti, con i cuori, con i modelli prestampati che abbiamo nelle teste, con i limiti di bilancio….sti diritti diventano il godimento di chi può gridarli, andando poi a casa a fare altro. Ed io non vorrei essere fra questi.
Così pensavo la notte appena finita, ed anche come ripresentarmi in irlanda, a LImerick, senza nemmeno portare un’albicocca del mio giardino…
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