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830 parole, 5.264 caratteri: per dire cosa?
Copio (ed evidenzio).
Dal Corriere di oggi.
Raramente ho visto così tante parole d’ordine radunate in uno spazio tutto sommato così esiguo.
Raramente mi si sono resi così evidenti il tentativo di parlare alle pance di chi legge e la volontà di compiacere chi ci vuole tutti baldanzosi ottimisti.
Poi, magari, un giorno, qualcuno può anche spiegarmi che cosa vogliono dire, esattamente, tutte queste parole, così tante, così uguali, tutte lievitate con la stessa polverina ideologica che a me sembra (posso sbagliare) totalmente priva del benché minimo autentico significato.
Priva di qualunque possibilità di discussione intorno a uno qualunque dei punti apparentemente toccati.
Incidentalmente invito i più masochisti a fare un giro qua, dove si spiega benissimo – e per immagini, dunque in modo insuperabile – a cosa ci conduce la nostra scellerata smania di semplificazione e di «famosizzazione» delle (eventuali e ipotetiche) intelligenze, delle quali nessuna che si sottragga a operazioni che viste per immagini hanno il pregio di apparire immediatamente pretenziose («La crisi è un’occasione per riflettere»), violente («La cultura degli snob finirà per ucciderci»), esclusive («Vedo tanti eventi culturali, ma non la cultura»), vaniloquenti («Una rete per arte, musica e poesia. Puntare sui giovani») e anche un po’ classiste, sì.
Dov’è Milano e dove sono i milanesi è una domanda ricorrente di questi tempi. Se l’è fatta il cardinale Tettamanzi e se lo chiedono in tanti, tra crisi identitarie e cupi pessimismi che portano a leggere il presente con gli occhi del passato, con qualche rimpianto e molta nostalgia. Ma anche se nei libri e nei dibattiti se ne celebra spesso la prematura scomparsa, Milano c’è.
C’è coi suoi primati, le sue eccellenze, la sanità ai vertici mondiali, le università che attraggono migliaia di studenti, i teatri, la moda, il design, la ricerca, i mille appuntamenti culturali distribuiti in un ricco calendario, ma da un po’ di tempo, è vero, a Milano non si sente più l’orgoglio, scarseggia l’entusiasmo, manca quasi la passione: è come se la città avesse perso l’amore dei suoi cittadini.
I guai del traffico, l’aria inquinata, i vizi della lottizzazione, l’imbarbarimento della vita civile nascondono, e a volte oscurano, l’estrema vitalità di una metropoli che da anni cerca di ritrovarsi attorno a un grande progetto, ma poi si trova a fare i conti con le tante occasioni perdute.
Oggi, in un momento difficile per tutti, si chiede di nuovo a Milano uno scatto, un sussulto, una ritrovata voglia di mettersi in gioco, come negli anni sempre evocati del miracolo economico, quando qui accadevano le cose e l’asprezza della vita era temperata dalle grandi opportunità offerte, dalla sensazione di far parte di una comunità che si riconosceva in alcuni principi, in un fortissimo senso d’appartenenza e in una straordinaria risorsa: quella della solidarietà.
Dentro la città c’è un insolito fermento creativo, una voglia di partecipazione che però si avverte solo scandagliando come palombari sociali quel mondo sommerso che fa capo a centinaia di associazioni, di circoli, di gruppi formati da giovani talenti che dialogano con il mondo globale: ci sono tanti coraggiosi ottimisti oggi a Milano che remano controcorrente nella crisi, si alleano con il mondo del volontariato, vanno alla ricerca di nuove idealità. Hanno motivazioni forti, che uniscono le ragioni del lavoro a quelle della solidarietà. Chiedono attenzione, ascolto. Misurano la città e chi la guida nelle coerenze, negli esempi positivi, nell’onestà degli atti.
Ma non hanno una regia attenta, non sono connessi fra loro, e così, spesso, Milano disperde la potenzialità enorme di chi che vuole emergere con le regole della sana concorrenza, con il riconoscimento del merito e della qualità.
Forse Milano dovrebbe ogni tanto riepilogare se stessa, e dare un nome alle sue risorse, che sono tante, mettendo anche le positività davanti alle negatività, allontanando con qualche voce autorevole l’immagine di una decadenza che va contrastata, coniugando gli antichi valori con la fantasia e la creatività che si coltivano nei laboratori culturali, della scienza, dell’arte e della moda.
Serve una leva, un’occasione, per resuscitare un po’ di orgoglio e di entusiasmo. Questa leva può anche essere l’Expo. Con una gestione sana e trasparente, si può mobilitare quel grande serbatoio di intelligenze che si muovono oggi senza cornice sul territorio, coinvolgendo sanità, arte, cultura, architettura, ecologia, mobilità, tecnologia, design, agricoltura. Bisogna rimuovere qualche ostacolo. Bisogna credere in qualche obiettivo. Ma si può fare: rinunciare sarebbe solo un’altra, inutile perdita d’immagine.Bisogna spiegare a Milano cos’è Milano, ha detto un giorno Piero Bassetti. Oggi c’è questa possibilità». L’Expo 2015 (…) è una novità che merita attenzione, perché riapre un cantiere lungamente interrotto: quello delle idee, del pensatoio, del merito, e offre alla città la possibilità di darsi un ruolo di indirizzo, di guida, che si alimenta con la competenza e non con la convenienza.
Tocca al sindaco Moratti, adesso, al presidente Formigoni con gli Stati Generali, a chi ha un ruolo di opposizione ma ama allo stesso modo la città, trasformare l’Expo in un avvenimento capace di coinvolgere il meglio di Milano e dei suoi cittadini, per rilanciare lo spirito del fare, per far crescere, oltre al volano economico, una nuova cultura, più civica, più attenta alla qualità della vita, più attenta all’uomo.Serviranno nuovi meccanismi di partecipazione, di controllo civico, ci vorrà una vigilanza attenta per denunciare, se servirà, l’insidia di qualche degenerazione. Ma si comincerà così ad uscire dal corto circuito della negatività, a rimuovere quel blocco psicologico che da troppo tempo impedisce a questa città di tornare a pensare in grande. Non basta un manifesto, ne servirebbero tanti. Ma si può cominciare dalla Cultura per arrivare alla Scienza, alla Ricerca, alla Meritocrazia, alla Solidarietà… E iniziare un lungo viaggio che passa attraverso la Milano che c’è, non è scomparsa e non si arrende.
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